Dicembre 7, 2024

Alla conquista della Luna

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Primo appuntamento con "La Scienza di Topolino", dove la banda Disney ci parla di scienza. Era il 21 luglio 1969, l’uomo per la prima volta metteva piede sul suolo extraterrestre della Luna. In quegli anni e in quelli immediatamente successivi si scatenarono le più accese fantasie su quali sarebbero stati i successivi traguardi.

night sky

Già Jules Verne nel 1800 aveva iniziato a fantasticare di scorrerie spaziali e pochi anni dopo Isaac Asimov aveva immaginato mondi ed esseri incredibili. Purtroppo a partire dagli anni ‘80 del secolo scorso l’interesse è andato progressivamente scemando, ma conquistare la Luna e lo spazio resta uno dei grandi sogni dell’umanità, che oggi sta riprendendo forza.

Era il 13 Novembre 1988 e su Topolino n° 1720 compariva per la prima volta la storia “Zio Paperone e le colonie spaziali”. Il vecchio taccagno, si sa, non si fa sfuggire l’occasione di fare soldi. Intuendo che nello spazio avrebbero potuto esserci molte più risorse e materie prime che sulla Terra si lancia in questa nuova avventura. Nonostante un avvio difficile, alla fine la sua audacia sarà premiata e i suoi cosmonauti costituiranno delle vere e proprie colonie su pianeti e asteroidi. 

Ma tutto questo ha una vera attinenza con la realtà? Sarà davvero possibile estrarre materie prime dai corpi celesti? Assolutamente sì, solo che non è così facile. Tutto comincia con il suolo lunare. Gli astronauti delle missioni Apollo hanno riportato dalla Luna diversi campioni di rocce, mentre i rover su Marte continuano a raccogliere e analizzare i campioni sul posto. Il terreno che troviamo sulla Luna e su Marte viene chiamato regolite ed ha la consistenza di una polvere molto fine, con la spiacevole tendenza a infilarsi in ogni piega delle tute spaziali. L’analisi dei campioni indica che la regolite lunare è composta prevalentemente da metalli ossidati, cioè contengono ossigeno. Troviamo all’incirca il 40-45% ossigeno, 21% silicio, 13% ferro, 8% calcio, 7% alluminio, 6% magnesio, 3% altri elementi.

A cosa serve l’ossigeno nello spazio? Gli astronauti hanno la brutta abitudine di respirarlo e i vettori spaziali lo utilizzano come carburante insieme a idrogeno o metano (liquidi), ma finché resta “incastrato” nelle rocce non è possibile utilizzarlo, deve essere estratto. Per l’estrazione si usa una fornace a cloruro di calcio che lavora a 950°C, la fornace estrae il 75% di ossigeno in circa 15h, ma ci vogliono ben 50h per arrivare a estrarne il 96%. 

Ovviamente più è lungo il viaggio spaziale previsto, più ossigeno serve e le stazioni di servizio scarseggiano nel nostro sistema solare. Quindi uno dei problemi più grossi sulle lunghe distanze è la capienza del serbatoio.  Se si parte con un serbatoio pieno molto grande, risulterà anche molto pesante e costringerà ad utilizzare molto più carburante per la partenza. Se però il serbatoio è troppo piccolo si rischia di non arrivare a destinazione oppure di arrivare, ma non riuscire a ripartire, un incubo! Ma allora come si fa?

Beh la risposta sembra scontata, si fa rifornimento all’arrivo! Ecco quindi che la composizione chimica del terreno e dell’atmosfera (se presente) della nostra meta diventa importante. Studiando e approntando meccanismi di estrazione, come l’IRSU è possibile procurarsi almeno una parte del carburante necessario per il viaggio di ritorno. Ma non è finita qui! Alcune materie prime possono essere lavorate in loco e utilizzate per realizzare strumenti di lavoro, o produrre cibo evitando di appesantire la navicella con materiali pesanti e ingombranti.

Uno dei progetti su cui si sta lavorando è la possibilità di creare ossigeno respirabile e materiale da costruzione direttamente su una base spaziale sulla Luna. Per fare questo si pensa di affidarsi a una tecnologia vecchia di milioni di anni, ma efficientissima, quella delle piante! Attualmente sulla stazione spaziale internazionale sono in corso alcuni esperimenti per la produzione di ossigeno tramite le piante e i risultati migliori sono stati ottenuti grazie a un’alga (Chlorella vulgaris).

Purtroppo il suolo extraterrestre non è il massimo per la vita delle piante, quindi dovremmo organizzarci per portare del terriccio, ma come abbiamo già detto il peso e l’ingombro sono problemi non da poco, non possiamo certo caricare sacchi di terriccio sul portapacchi della navicella! Quindi che si fa? Si sfruttano le tecnologie agrarie per realizzare delle colture idroponiche (ad esempio), i substrati di germinazione, una volta disidratati, sono leggeri, compatti e resistenti, quindi relativamente facili da trasportare. Però non c’è l’atmosfera adatta e l’impatto delle radiazioni solari può risultare eccessivo per le piantine. Ecco allora che entrano in gioco le materie prime presenti sul pianeta, che possono essere utilizzate per la costruzione di serre e ripari.

Tutto questo è ancora in fase sperimentale, ma alcuni risultati promettono bene per il futuro. Chissà, forse un giorno l’uomo diventerà un vero e proprio “colono spaziale”, come previsto da Zio Paperone.

Per approfondire: 

https://www.esa.int/ESA_Multimedia/Images/2019/06/Chlorella_Vulgaris
https://agupubs.onlinelibrary.wiley.com/doi/epdf/10.1029/96JE02726
https://www.researchgate.net/publication/274181692_Extraction_of_Metals_and_Oxygen_from_Lunar_Soil

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