Dicembre 5, 2024

Zero zuccheri… ma cosa li rende dolci? 

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The girl's hand pours sugar into her coffee. Close up.

Non so se vi sia mai capitato di chiedervelo, ma quando ho dovuto affrontare l’argomento per questioni universitarie, sono rimasta veramente affascinata. Inoltre, vediamo la comparsa di analoghi “Zero” zuccheri per numerose bevande e alimenti; quindi, credo siano informazioni interessanti per tutti.

Partiamo dall’inizio, parlando dello zucchero, questo ingrediente tanto amato. In realtà il termine è piuttosto generico. Gli zuccheri infatti sono una grande famiglia, nota anche come carboidrati, perché gran parte di loro possono essere rappresentati con la formula elementare di Cn(H2O)n, C = Carbonio (carbo), H2O = acqua (idrati). Lo zucchero che aggiungiamo agli impasti per fare le torte è il saccarosio, lo zucchero per antonomasia. Estratto e cristallizzato per la prima volta dal chimico tedesco Andreas Sigismund Marggraff nel 1747 a partire dalle radici di barbabietole. È una molecola formata da due zuccheri più semplici uniti fra loro, ovvero il D-glucosio e il D-fruttosio, e per questo viene anche classificato come disaccaride.

Una volta ingerito incontra la lingua e i suoi bottoni gustativi, in questo modo percepiamo il sapore dolce. Il dolce ed il salato vengono riconosciuti soprattutto sulla punta della lingua.

Dopodiché gli zuccheri proseguono la loro strada, raggiungono lo stomaco e poi l’intestino dove vengono assorbiti, metabolizzati, e utilizzati come “combustibili” per dare energia immediata o trasformati in nuove molecole che verranno immagazzinate nel nostro corpo.

C’è da dire però che lo zucchero/saccarosio, non è l’unico ad essere riconosciuto dai nostri bottoni gustativi. Anzi, esistono moltissime molecole che percepiamo come dolci, alcune sono simili al saccarosio, come ad esempio il lattosio, il disaccaride che troviamo principalmente nel latte, mentre altre sono piccole molecole con una struttura completamente diversa come la saccarina, il ciclammato o l’aspartame. Ci sono anche molecole “giganti” che riescono a farci percepire il dolce, come la monellina, una proteina derivante da una pianta dell’Africa Occidentale (Dioscoreophyllum cumminsii), 31 volte più pesante del saccarosio.

Addirittura, queste molecole sopracitate, non solo sono dolci, ma hanno un potere dolcificante ben maggiore rispetto al saccarosio. In una scala di potere dolcificante nella quale al saccarosio viene attribuito il valore arbitrario di 1, l’aspartame ha un potere edulcorante compreso tra 160 e 220, la monellina raggiunge la vetta con un valore di 100.000. Cosa significa? Che per avere lo stesso grado di “dolcezza” ci basterà una quantità molto inferiore di aspartame rispetto al saccarosio! (ricordate sul bancone dei bar quei minuscoli confetti per dolcificare il caffè?).

Inoltre, bisogna dire che tutti questi edulcoranti hanno poteri calorici differenti. Si possono suddividere in tre classi: i normocalorici (saccarosio e fruttosio), quelli ipocalorici e quelli acalorici. Ecco che arriviamo al famoso “Zero”.

Attenzione però, se a differenza degli zuccheri il contenuto calorico è nullo, non significa che possiamo bere infiniti litri di una bevanda con la scritta Zero e stare tranquilli. Infatti, per ogni additivo alimentare, compresi i dolcificanti, viene indicata la DGA (Dose Giornaliera Ammissibile), che è la quantità che si può assumere tutti i giorni per tutta la vita senza effetti avversi (secondo lo stato attuale delle conoscenze) ed è espressa in milligrammi per kg di peso corporeo.

Sarò breve ma l’aspartame, per esempio, ha tutta una storia da raccontare. Innanzitutto, è una molecola composta da due amminoacidi, i mattoncini che compongono le proteine. Questi amminoacidi sono l’acido aspartico e la fenilalanina, che qui si trova leggermente modificata. Ne è stato scoperto il potere dolcificante nel lontano 1965, dal chimico James M. Schlatter che lavorava per la G. D. Searle & Company. Schlatter si stava occupando della sintesi di un tetrapeptide (sequenza formata da 4 amminoacidi) con una potenziale attività anti-ulcera, quando, durante il suo lavoro in laboratorio, si è incautamente leccato il dito per voltare pagina e si è accorto che qualcosa era dolce!

Così nel 1981 fu introdotto in commercio negli Stati Uniti l’aspartame come additivo edulcorante e nel 1996 anche in Europa.

Della sua sicurezza se ne è discusso a lungo. Nel 1984, in Europa, il comitato scientifico dell’alimentazione umana (SCF) valutò per la prima volta la sicurezza dell’aspartame definendo la DGA di 40 mg/kg di peso corporeo/die.

Seguirono numerose altre valutazioni da parte degli esperti dell’EFSA (European Food Safety Authority, ente comunitario di valutazione del rischio in sicurezza alimentare e dei mangimi, sanità e benessere degli animali), che conclusero nel 2013 che “l’attuale dose giornaliera ammissibile (DGA) di 40 mg/kg di peso corporeo/die è in grado di tutelare la popolazione generale. La DGA non è tuttavia valida per i pazienti affetti dalla patologia denominata fenilchetonuria (PKU), che richiede la stretta osservanza di una dieta a ridotto tenore di fenilalanina”.

Tuttavia ci furono aggiornamenti. Nel giugno 2023, l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) consiglia di consumare in modo moderato i cibi contenenti aspartame poiché potrebbe provocare il cancro. La IARC (Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro) lo ha inserito nel gruppo 2B delle sostanze cancerogene e mutagene, ossia il gruppo che comprende i “sospetti cancerogeni umani”, quelli di cui si hanno evidenze limitate della loro possibile cancerogenicità. Per ora la DGA non è cambiata e questa sostanza è attualmente sottoposta ad ulteriori studi per confermare o smentire l’associazione con il cancro.

Questo articolo ha solo scopo divulgativo. Per chi fosse interessato è possibile approfondire l’argomento con il materiale sottocitato

  • La chimica e gli alimenti, nutrienti e aspetti nutraceutici – L.Mannina, M. Daglia, A. Ritieni. Casa Editrice Ambrosiana. Distribuzione esclusiva Zanichelli. 2019
  • Aggiornamenti Aspartame

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