Ottobre 12, 2024

QUANDO UNA VOCE PUO’ FAR VETO

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Viaggio nella sindrome NIMBY, tra veto incrociato e contestazione ambientale. Quando la democrazia lenta può ostacolare la decarbonizzazione.

Group of windmills in a cattle farm for creating renewable energy in Taralga NSW Australia.

Il diritto di veto (termine che deriva da “vietare”) affonda le sue radici nell’antica Roma. È un istituto giuridico che può trovare applicazione non solo a livello globale e continentale, ma anche locale.

È riconosciuto ai membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, organismo nato nel 1945, finalizzato a scongiurare ulteriori conflitti mondiali. Il Trattato dell’Unione europea prevede la regola dell’unanimità (e quindi il diritto di veto) laddove si legiferi in determinati ambiti, ad esempio Fisco, difesa e politica estera.

In ambito nazionale il Presidente della Repubblica può teoricamente bloccare una legge, se incostituzionale o contenente errori grammaticali. Accanto alle istituzioni sovranazionali, ancora in fase di sviluppo, le ormai mature autorità nazionali, regionali e locali rimangono in scena, seppur con uno ruolo non trascurabile. Per via della volontà popolare, si può generare una sovrapposizione di diverse voci (e quindi una sorta di “veto sommerso”).

Ciò si verifica se gli orientamenti politici espressi negli organi rappresentativi comunitari, nazionali, regionali, provinciali o comunali, sono differenti. Quanto descritto accade più frequentemente nei rapporti tra istituzioni nazionali e locali o nei rapporti tra istituzioni nazionali e sovranazionali? La competenza esclusiva dell’Unione Europea è oggi prevista soltanto per alcune materie: trasporti, concorrenza, libertà di circolazione, agricoltura, politica commerciale comune, unione economica e monetaria. Tutte le altre materie sono regolamentate per competenza concorrente, di concerto con i Paesi membri.

La linea di confine tra regolamentazione statale e regionale è disciplinata dagli artt. 117 e 118 della Costituzione, che specificano le competenze esclusive statali e le competenze residuali delle Regioni. In molti sanno, per esempio, che il Ministero della salute, a livello nazionale, decide i livelli di assistenza generali che devono ovunque essere garantiti.

La linea di demarcazione con Province e Comuni, è disciplinata, più in generale, dal Titolo V della Costituzione. Più precisamente, dagli articoli compresi dall’art. 114 al 133 della Costituzione. La viabilità è un esempio di materia in cui la competenza degli enti locali è preponderante. Basti pensare, come ho citato in un precedente articolo, che le strade statali coprono solo il 7% della rete stradale nazionale. Naturalmente, a Province e Comuni è riservata la regolamentazione di dettaglio solo negli ambiti indicati nel titolo V, mentre la disciplina di cornice spetta sempre all’autorità nazionale.

Una vasta rete di uffici dipende funzionalmente dal governo centrale nazionale. Vi invito a leggerne una descrizione meticolosa alla pagina 37 di questo libro. Le scelte compiute in sede nazionale verranno trasmesse per via burocratica all’organizzazione periferica statale (e quindi a regioni, province e comuni). Gli indirizzi effettivamente attuati, possono divergere a causa di differenti orientamenti di prassi. La prassi può differire a un livello orizzontale, laddove i differenti ministeri competenti prevedono iter procedurali tra diversi tra loro. Ma anche a livello verticale, perché le disposizioni di prassi possono essere applicate differentemente anche entro lo stesso ministero.

Nel nostro Paese si contano 7.904 Comuni e 100 Province. I benefici delle unioni e fusioni di Comuni (sempre disciplinate dal Titolo V della Costituzione, agli articoli 117 e 133) non sono tangibili soltanto in termini di minori costi amministrativi e di gestione. È di più difficile quantificazione il costo dell’inerzia nell’attuazione legislativa e amministrativa che ne conseguono.

Una discreta quota di tale inerzia è tenuta sotto osservazione grazie all’Osservatorio Nimby, acrononimo di Not in My Back Yard. Banalmente, i signor NO, grazie al potere di veto che sfocia nelle contestazioni ambientali, possono fare bastian contrario verso le decisioni prese dall’alto. Il più recente Nimby Forum è stato promosso dai Ministeri dello Sviluppo Economico e dell’Ambiente, in sinergia. I dati consultabili dall’Osservatorio Nimby sono difficilmente comparabili nello spazio: non si ha notizia di analoghi osservatori in altri Paesi. È probabilmente minore la portata del fenomeno.

Nel tempo, la sindrome Nimby affonda le proprie radici nei XIII e XIV secolo. In principio aveva per oggetto il ventaglio delle possibili scelte di localizzazione industriale. Una questione già oggetto di studio di una più ampia disciplina, l’economia applicata. Il fenomeno ha assunto proporzioni crescenti dagli anni Settanta ad oggi, e ha più frequentemente per oggetto progetti finalizzati alla sostenibilità ambientale:  pale eoliche, inceneritori, impianti di biomasse e di biogas.

L’Osservatorio Nimby, è un vero e proprio termometro delle contestazioni ambientali in Italia. Dal momento che la coscienza ambientale dei cittadini è andata crescendo nel tempo, è necessario che amministratori locali e imprese interessino il più possibile la società civile. In assenza di arbitri, l’esercizio del diritto di veto può ostacolare seriamente la creazione delle nuove infrastrutture energetiche di cui il nostro pianeta ha bisogno.

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