Ottobre 12, 2024

Onde gravitazionali: un altro occhio per scrutare l’Universo

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Seppur concettualmente molto diverse, le onde gravitazionali si propagano nello spazio in modo relativamente simile alla radiazione luminosa. Proprio come si fa con la luce, è possibile utilizzare queste onde alla stregua di occhiali speciali per indagare il cosmo da una nuova, affascinante prospettiva.

La teoria della Relatività Generale di Einstein, pubblicata più di un secolo fa, è ancora oggi uno dei capisaldi della scienza moderna. Alla base di molti modelli che descrivono i fenomeni naturali, è stata testata e validata da un’enorme quantità di evidenze osservative, dal nostro sistema Solare fino alle più grandi strutture dell’universo. Una delle sue conseguenze più affascinanti è l’esistenza di una particolare classe di fenomeni ondulatori dal nome suggestivo: le onde gravitazionali.

La teoria di Einstein ha cambiato radicalmente il nostro modo di interpretare la gravità, lo spazio e il tempo: ciò che definiamo “forza gravitazionale” è la conseguenza della deformazione della struttura geometrica dell’universo, costituita proprio dalle tre dimensioni spaziali e da quella temporale che si intrecciano in una trama chiamata “spaziotempo”. La flessione è causata dalla presenza di ogni forma di massa ed energia in una determinata regione del cosmo; essa modifica il moto degli oggetti nelle vicinanze, costringendoli a seguire la “piega” dello spazio e del tempo.

L’esempio classico che si fa è quello di immaginare lo spaziotempo come un lenzuolo teso nel quale vengono disposti degli oggetti, ad esempio libri, stoviglie, soprammobili. Gli strumenti incurveranno il telo in modo diverso in base alla loro forma e alla loro massa. Se ora facciamo muovere una piccola biglia sul lenzuolo, noteremo facilmente come il cammino della sfera venga alterato dalle deformazioni provocate dai vari oggetti nel telo. Questa “modifica al percorso” della pallina schematizza l’azione della forza di gravità.

Il campo gravitazionale agisce su ogni elemento contenuto nello spaziotempo inclusa la luce, l’oggetto in assoluto più veloce dell’universo. In alcune situazioni estreme, la “piega” dello spazio e del tempo diventa talmente intensa da intrappolare persino i raggi luminosi all’interno di una certa zona del cosmo, generando una tipologia di corpi celesti dalle caratteristiche quasi fantascientifiche che prende il nome di buco nero.

I buchi neri sono stati a lungo considerati speculazioni teoriche; regioni dalle quali nulla può fuggire, dove lo spazio e il tempo si comportano in modo assurdo e danno luogo a effetti complessi e bizzarri… tuttavia, grazie agli avanzamenti della ricerca scientifica negli ultimi anni, siamo riusciti a dimostrarne l’effettiva presenza nell’universo; non solo, abbiamo anche compreso più a fondo la natura e le proprietà di questi oggetti spettacolari. Come ciliegina sulla torta, nel 2019 la collaborazione internazionale di ricercatori dell’Event Horizon Telescope è stata in grado di ottenere una sorta di fotografia della regione esterna a un buco nero situato al centro di un’altra galassia. Ma questa è un’altra storia.

Torniamo al nostro lenzuolo di spazio e tempo. Supponiamo adesso che qualcuno, stufo di tenere il telo steso e immobile, inizi a scuoterlo oppure a far oscillare gli oggetti al suo interno; noteremmo come questo moto generi delle piccole onde, perturbazioni che si propagano lungo tutto il lenzuolo. In altri termini, un movimento dei corpi contenuti nello spaziotempo produce una serie di fluttuazioni “gravitazionali” del tessuto.

Attenzione, però: queste onde non sono entità che si muovono nell’universo, come nel caso della radiazione luminosa. Le onde gravitazionali sono deformazioni della struttura stessa del cosmo. L’effetto del passaggio di un’onda gravitazionale è quello di alterare la distanza relativa tra due punti, modificare lo spazio fisico in modo tanto maggiore quanto più intensa è la perturbazione. Come nel caso dei buchi neri, anche le onde gravitazionali sono state motivo di dibattito per molto tempo; persino lo stesso Einstein era inizialmente scettico sulla loro esistenza! Negli anni Novanta del secolo scorso si ebbe qualche indicazione indiretta della presenza di queste fluttuazioni dallo studio delle stelle di neutroni, ma diversi scienziati erano convinti che fosse quasi impossibile osservarle direttamente. Ciò a causa della tremenda “rigidità” dello spaziotempo; sebbene sia relativamente facile piegarlo, per metterlo in movimento è necessaria una quantità di energia pazzesca, al limite della nostra immaginazione.


Nel 2016, la collaborazione LIGO/VIRGO ha marcato la storia con l’osservazione del primo segnale diretto di onde gravitazionali, confermando ancora una volta le predizioni della Relatività Generale. L’onda catturata dai rivelatori LIGO/VIRGO è stata generata da un fenomeno spettacolare: la fusione di due buchi neri, avvenuta più di un miliardo di anni fa in una galassia molto distante. L’equivalente di tre volte la massa del nostro Sole è stata trasformata in energia durante il processo; la potenza liberata liberando una potenza superiore a quella emessa da tutte le stelle nell’universo osservabile. Nonostante questo, la deformazione rivelata dai nostri strumenti è stata di appena un decimillesimo del diametro di un protone!

L’anno successivo è stato compiuto un ulteriore, decisivo, passo in avanti. Un nuovo segnale di onde gravitazionali, giunto in concomitanza di onde luminose generate dallo stesso evento – la fusione di due stelle di neutroni – ci ha permesso di determinare con estrema precisione la velocità con cui le perturbazioni dello spaziotempo si propagano: quella della luce. Una scoperta determinante per comprendere le proprietà della radiazione gravitazionale, le sue similitudini e le differenze con le altre forme di radiazione che conosciamo.

Se ciò non bastasse, i due segnali hanno aperto le porte a un modo totalmente innovativo di fare scienza: l’astronomia multi-messaggera. L’idea è quella di utilizzare le onde gravitazionali per “vedere” anche dove la luce non riesce ad arrivare. Le fluttuazioni dello spaziotempo trasportano energia, trascinandosi dietro una grande quantità di informazioni su ciò che le ha generate e su come si sono propagate prima di giungere fino a noi. Raccogliere queste onde equivale a realizzare uno scatto fotografico del cielo; non più usando raggi luminosi bensì attraverso la gravità, permettendoci così di accedere a tutta una serie di fenomeni cosmici ancora ignoti.

È di questi giorni (giugno 2021) la notizia della scoperta, avvenuta proprio attraverso le onde gravitazionali, di una nuova classe di eventi astrofisici mai osservata prima: in due sistemi binari, entrambi costituiti da una stella di neutroni e da un buco nero, è avvenuta la fusione dei due corpi celesti in un unico buco nero più “massiccio”. I segnali rivelati hanno consentito di determinare la massa dei costituenti, la loro tipologia; è stato inoltre possibile stimare distanza e posizione in cielo dei due eventi, così come le proprietà dei buchi neri prodotti dalla fusione. Tutto questo, ricordiamolo, partendo da fluttuazioni dello spaziotempo fino a pochi anni fa ritenute impossibili da individuare direttamente!

Le entusiasmanti prospettive che le onde gravitazionali ci offrono sono moltissime, ma per chiudere vorrei citarne una in particolare. Secondo la nostra attuale comprensione del cosmo, nei primi miliardesimi di secondo successivi al Big Bang, l’universo avrebbe compiuto una violentissima espansione aumentando notevolmente le sue dimensioni. Durante questa fase, chiamata inflazione, sarebbero avvenuti alcuni tra i fenomeni chiave per determinare la struttura del cosmo così come lo conosciamo, ad esempio la formazione di piccole perturbazioni, i “semi” delle odierne galassie. Per il momento non abbiamo evidenze dirette per dire con certezza cosa sia successo nel periodo dell’inflazione, possiamo soltanto rivelare alcuni effetti prodotti sull’universo osservabile.

Ed è qui che entrano in gioco le onde gravitazionali: si suppone infatti che durante la fase inflazionaria un fondo di perturbazioni dello spaziotempo sarebbe nato dal caos primordiale, distribuendosi in ogni punto dello spazio nel corso dei miliardi di anni. Questo fondo oggi rappresenterebbe una sorta di reliquia diffusa, un fossile contenente preziosissime informazioni di un’epoca remota ancora quasi completamente sconosciuta. Se nei prossimi anni riuscissimo a raccogliere e osservare queste onde “cosmologiche” avremmo lo strumento per visualizzare la nascita dell’universo stesso e, forse, per comprendere finalmente il mistero del Big Bang.

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