Dicembre 5, 2024

L’attacco di Pearl Harbor

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7 Dicembre 1941, Pearl Harbor: l'aviazione giapponese attacca la U.S Navy di stanza nel Pacifico, portando in guerra “il gigante che dorme”.

Sono trascorsi 80 anni dall’attacco giapponese a Pearl Harbor, ma ancora oggi il “giorno dell’infamia”, come lo definì F.D. Roosevelt, continua a scuotere gli animi di due popoli. Un evento ben radicato nell’immaginario culturale, specie americano, tanto da guadagnarsi l’attenzione di Hollywood con ben cinque film realizzati sul tema. Se “Tora, Tora, Tora” del 1970 risulta storicamente il più accurato, il più famoso è senza dubbio “Pearl Harbor” del 2001, un film pirotecnico, diretto guarda caso da Michael Bay che, tra le pieghe degli eventi, inserisce un triangolo amoroso che vede protagonisti Ben Affleck, Kate Beckinsale e Josh Hartnett.

Il “giorno dell’infamia”

Sia pur in modo romanzato, attraverso la storia dei protagonisti, il film ricostruisce la sorpresa suscitata dall’incursione nipponica su Pearl Harbor, fino ad allora non turbata dagli echi di una guerra lontana. Siamo alle Hawaii, nell’isola di Oahu, dove si trova il porto militare di Pearl Harbor, base navale della flotta americana di stanza nel Pacifico. È una tranquilla domenica mattina e la quiete regna sovrana, fino a quando il fragore delle bombe non porta l’inferno su quel paradiso in terra. Colta completamente alla sprovvista dal raid aereo giapponese, sull’isola è il caos.

In foto la veduta aerea della base navale di Pearl Harbor vista dalla prospettiva di un bombardiere giapponese.

I siluri nipponici infliggono gravi danni al naviglio presente in rada, mentre gli aerei colpiscono indisturbati gli obiettivi strategici previsti dal piano: piste di decollo, aree di stoccaggio e altri siti sensibili. A colpire gli Stati Uniti, oltre alla bombe, sono tempistiche e modalità del blitz, avvenuto a poche ore da un incontro diplomatico con il Giappone e in mancanza di una formale dichiarazione di guerra che arriverà solo ad attacco inoltrato.

I numeri dell’operazione X

L’operazione X (o AI) scatta alle ore 6, quando centinaia di aerei giapponesi si alzano in volo dalle sei portaerei in viaggio verso le Hawaii. Si tratta di un’operazione congiunta aereo-navale guidata dall’ammiraglio Yamamoto, che per mesi ha studiato l’incursione su Pearl Harbor. Alle 7:48 il silenzio radio osservato fino a quel momento viene rotto e al grido di “Tora, Tora, Tora” (tigre in giapponese) il bombardamento ha inizio.

I famigerati caccia Zero giapponesi in rampa di lancio.

Il raid prevede due diverse ondate di 350 aerei tra cui siluranti, bombardieri Mitsubishi e caccia Zero. La prima ondata di 183 aeroplani si concentra sulle navi da guerra ancorate alla base; la seconda di 167 velivoli, invece, ha obiettivi terrestri: infrastrutture, magazzini e centri di comando. In appena due ore i giapponesi riescono a danneggiare se non a distruggere 18 navi e oltre 300 aerei nemici. Circa 2.400 sono le vittime americane, 1.200 i feriti. Dall’altra parte le perdite umane sono 55, mentre gli aerei distrutti 29: numeri che attestano la disparità della “battaglia”.

L’eco delle bombe: dal neutralismo all’interventismo

Ripercorrendo le convulse ore vissute dagli USA a ridosso dell’attacco, il film mostra come sia cambiato l’atteggiamento nei confronti del conflitto in atto o, meglio, come sia cambiata la percezione popolare. Dalla finzione alla realtà, è proprio l’attacco giapponese a Pearl Harbor a scuotere le coscienze americane e a convincere l’opinione pubblica, fino ad allora ferma su posizioni neutraliste, ad avallare l’intervento militare, con il Congresso che già 24 ore dopo ratifica lo stato di guerra.

Se negli ambienti politico-finanziari l’opzione militare circolava da tempo, per ragioni ideologiche, ma soprattutto economiche, fu proprio l’adesione popolare, vitale in un conflitto totale come quello della 2ª guerra mondiale, a certificare l’entrata in guerra del “gigante americano”. Un nuovo giocatore al tavolo del Risiko già in atto in Europa e Africa che, oltre ad allargare lo scontro alle Americhe, non mancherà di far pesare tutto il suo potenziale (in termini di armamenti, finanziamenti e risorse) facendo così propendere il conflitto dalla parte delle forze degli Alleati.

Le origini dell’attacco e la strategia giapponese

Sul fronte nipponico negli anni precedenti a Pearl Harbor si riscontra una crescita dell’imperialismo giapponese in tutta l’area del Pacifico. Una politica espansionistica, necessaria per reperire materie prime a basso costo, che ha inizio negli anni ‘30 con l’invasione della Manciuria e culmina nel 1941 con la conquista dell’Indocina francese. Per frenare l’espansionismo nel Sud-Est asiatico, gli USA decretano allora un embargo su petrolio ed altre materie prime vitali per l’Impero del Sol Levante.

In mancanza di un’intesa e di opzioni, il Giappone che aderisce già al Patto Tripartito, l’alleanza politico-militare con cui era nata l’Asse Roma-Berlino-Tokyo, non ha altra strada se non quella militare. Una via rischiosa, per il divario con un nemico più grande e potente, che è il motivo per cui Tokyo attacca a sorpresa con una strategia tanto astuta quanto spietata: sferrare un colpo letale, capace di mettere subito k.o. il nemico. Un obiettivo che nell’immediato produrrà i suoi effetti mettendo in ginocchio la capacità navale nemica, ma che non si rivelerà uno shock fatale.

Gli effetti dell’offensiva

Non si può dire che l’attacco fallì, anzi, procurò ingenti perdite e fiaccò l’animo di un’intera nazione, tuttavia i giapponesi non riuscirono ad affondare nessuna delle grandi portaerei americane. Quella mattina, infatti, le tre portaerei del Pacifico (Enterprise, Lexington e Saratoga) non erano in porto ma lontane da Pearl Harbor, elemento che nel tempo ha alimentato sospetti circa la reale sorpresa americana. Fortuna o meno, la centralità delle portaerei nel conflitto del Pacifico è un fatto che di sicuro ebbe la sua rilevanza sulle sorti dello scontro Tokyo-Washington.

USS Arizona Memorial: il Memoriale dedicato alle vittime di Pearl Harbor.

Non a caso nel film, al termine dell’attacco, Yamamoto sussurra: “Temo di aver solo svegliato il gigante che dorme”. Parole profetiche che si riveleranno tristemente vere per il Giappone. Le bombe atomiche sganciate su Hiroshima e Nagasaki nel ‘45, infatti, sono la conseguenza dell’attacco a Pearl Harbor: il rovescio della medaglia di un “giorno dell’infamia” prima subito e poi vendicato. È per questo motivo che quel 7 dicembre 1941 continua a scuotere gli animi di due popoli tanti distanti quanto uniti da una stessa macchia: un filo rosso sangue che dall’alba di Pearl Harbour si staglia fino ai cieli di Hiroshima e Nagasaki.

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