Dicembre 12, 2024

La chimica per tutti. Intervista a Giuseppe Alonci

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L'ultima intervista del mese è quella fatta a Giuseppe Alonci, chimico e divulgatore scientifico
Giuseppe Alonci

Quando e come è nata la tua passione per la chimica?

Sono stato appassionato di scienze sin da quando ero piccolissimo, specialmente di astronomia. Quando avevo circa dieci anni mi fu regalata una scatola del Piccolo Chimico, e da lì è iniziato il mio grande amore per la chimica! Avevo il mio piccolo “laboratorio” casalingo dove mi divertivo a fare piccoli esperimenti, ma la grande rivoluzione avvenne quando iniziai a navigare su internet.
Sul web mi nutrivo di appunti, esercizi e dispense che racimolavo qua e là, frequentavo blog e siti web dedicati all’argomento e, soprattutto, mi iscrissi a un forum dove si parlava e discuteva di chimica con altri ragazzi e appassionati.
Il web è stato fondamentale per sviluppare e approfondire la mia passione ed è anche per questo che oggi dedico così tante energie alla comunicazione della chimica sui nuovi media.

A questo proposito, in che modo gli ambienti familiari e scolastici dovrebbero porsi per incentivare la curiosità verso materie che, viceversa, troppo spesso vengono stigmatizzate perché considerate difficili?

Il supporto della mia famiglia e della scuola è stato sicuramente fondamentale in questo senso. La mia famiglia mi ha sempre sostenuto nella mia passione spronandomi a fare del mio meglio, alle medie avevo una professoressa di scienze incredibile, che non potrò mai ringraziare abbastanza, e anche alle superiori ho avuto la fortuna di avere sia dei professori che dei compagni di classe che mi hanno aiutato nel mio cammino.
Per quanto riguardo lo stigma, il discorso è sicuramente più complesso. Se è vero che in molti credono che per studiare delle materie scientifiche ci sia bisogno di essere dei piccoli geni, dall’altra parte sono ancora viste come dei “porti sicuri” per quanto riguardo le prospettive di lavoro. In realtà lo studio universitario, a qualsiasi livello, è ugualmente difficile se fatto bene: non credo che studiare Filosofia o Lettere sia più facile che studiare Chimica. Anzi, molte materie umanistiche sono ingiustamente snobbate perché ritenute “inutili”.
Purtroppo, molti scambiano ancora l’Università con un ufficio di collocamento: non è così. Bisognerebbe frequentare l’Università solo per amore dello studio, e per amare lo studio bisogno amare ciò che si studia! Quindi penso che se a qualcuno piacesse studiare Matematica, Fisica o Chimica non dovrebbe farsi scoraggiare da una loro presunta superiore difficoltà rispetto ad altri corsi di Laurea.

Hai conseguito il dottorato di ricerca a Strasburgo. Che differenze hai notato rispetto la situazione della ricerca in Italia?

La mia impressione, tenuto conto che sono solo all’inizio della mia carriera scientifica e che quindi non pretendo di essere in alcun modo autorevole, è che rispetto l’Italia ci sia meno burocrazia, più libertà, più rispetto verso i ricercatori e una mentalità molto più aperta e interdisciplinare.
I dottorandi, che in tutto il mondo sono le fondamenta della ricerca scientifica moderna, quelli che stanno davvero in laboratorio a fare il “lavoro sporco”, in Italia non sono pagati o sono pagati una miseria.
In Francia sono considerati dei lavoratori con un regolare contratto, uno stipendio sufficiente, hanno diritto alla disoccupazione, alla pensione e a tutti i diritti di un normale lavoratore.
Anche dal punto di vista degli investimenti, dei fondi e della possibilità di collaborare con le industrie la situazione è migliore.
In Italia infatti non solo non c’è la volontà politica di investire nella ricerca, ma anche le aziende non riconoscono il valore dell’esperienza accademica e non fanno ricerca e sviluppo, oppure pretendono di assumere dei professionisti per stage semestrali gratuiti.
Per tutti questi motivi, l’Italia non è un paese attraente per chi vuol fare ricerca.

Il libro “Tutta questione di chimica. Sette brevi lezioni sul mondo che ci circonda”, edito da Giunti, ha vinto il premio Giancarlo Dosi per la divulgazione scientifica, nella sezione Under 35. Che cosa ha significato per te vincere questo premio?

Ho sempre amato scrivere e l’esperienza con “Tutta questione di chimica” è stata davvero meravigliosa. Il problema è che, ovviamente, quando si scrive un libro si ha sempre il terrore che non venga apprezzato. Vincere questo premio per me è stato importantissimo, perché ho avuto la conferma che il libro non piace solo a me che lo ho scritto, ma anche ai lettori, anche quelli più critici ed esperti. Per questo è stato sicuramente un grande sollievo, oltre che un onore, che mi ha ripagato di tutto il tempo e gli sforzi.

Per molti di noi sei famoso soprattutto per il canale “La Chimica per Tutti!” su YouTube. Cosa ti ha spinto a metterti per la prima volta davanti a una telecamera e cosa ti ha insegnato la gestione di questo canale?

Internet è stato fondamentale nello sviluppo e nella crescita della mia passione. Senza i forum, i blog, gli appunti e le dispense che qualche anima pia gratuitamente rendeva disponibili, non mi sarei mai potuto appassionare così tanto. Quindi per me è stato assolutamente naturale, quando mi sono sentito pronto, iniziare a fare la mia parte nel continuare questa “tradizione” di diffusione della conoscenza, che per me dovrebbe essere gratuita, universale e liberamente accessibile da tutti.
Chi mi conosce sa che mi spiace sperimentare, e il mezzo video in questo è fenomenale: nel corso degli anni mi sono potuto divertire a registrare diversi formati, a fare tentativi su tentativi, a modulare in vari modi il mio linguaggio, sempre alla ricerca del modo più chiaro e efficace per arrivare a chi mi segue. Il mezzo video inoltre permette di essere più chiari, espressivi e di stabilire un rapporto personale con gli ascoltatori, per questo lo ho sempre trovato il più congeniale per me.

Tempo avevi creato un progetto laterale con tuo fratello, peraltro nostro autore, chiamato “Insight – La scienza della mente” sempre su YouTube. Pensi che tornerai a lavorare su quel progetto o su tematiche affini?

Per il momento nulla è in programma, ma mai dire mai! A me interessa molto esplorare i limiti della disciplina, andare a svelare come la chimica si mescoli e rimpasti con altre discipline come la fisica, la matematica, la biologia o, in questo caso, la psicologia e le neuroscienze. Mio fratello Francesco, che si è recentemente laureato in Psicologia a Padova, era anche interessato a parlare al grande pubblico della sua passione per le neuroscienze, per cui abbiamo pensato di fare questo tentativo. Purtroppo, anche se personalmente sono contento del risultato, i video non hanno riscosso un grande successo di pubblico e, considerando la difficoltà di collaborare da città diverse, per ora il progetto è in pausa. Ma in futuro… chissà!

Oltre alla scienza quali sono i tuoi interessi?

Tutto! Letteralmente tutto. È la mia maledizione: non sono mai contento e vorrei sempre fare qualcosa di nuovo. Da ragazzo ho giocato a calcio per quasi dieci anni di fila, ho suonato la chitarra elettrica in una band e, quando ero all’Università, ho praticato per quattro anni la scherma rinascimentale con la sezione di Pisa della Sala d’Arme Achille Marozzo. In Francia ho fatto scherma moderna per un anno, e poi ho iniziato a fare arrampicata sportiva, sport che pratico ancora qui a Berlino. Durante l’Università, ho preso l’attestato per il volo da diporto e sportivo all’Aeroclub di Pisa e e a Strasburgo ho continuato la mia formazione con la Licenza di Pilota Privato e l’abilitazione al volo notturno.
Al di là dello sport, sono sempre stato appassionato di filosofia, ma anche di lingue: non solo inglese e francese, ma anche giapponese. Purtroppo, nonostante viva a Berlino, ho una naturale repulsione per il tedesco!
Da un anno ho scoperto anche la passione per le moto, ho preso la patente qui a Berlino (è stato più difficile che prendere il dottorato…) e da qualche mese ho una moto tutta mia con la quale divertirmi nei weekend.

Quali sono i tuoi ricordi più belli legati al tuo lavoro di ricerca e di divulgazione?

Per quanto riguarda la ricerca, sicuramente il mio periodo di dottorato! Al di là dello stress inevitabile, ho avuto l’immensa fortuna di lavorare ad un progetto estremamente interdisciplinare e di passare molte ore a collaborare con medici e ingegneri biomedici direttamente sul tessuto vivo.
L’IRCAD di Strasburgo organizza anche un corso, chiamato B.E.S.T., che si tiene ogni anno nell’estate e permette a medici e non medici di ritrovarsi assieme a discutere di medicina, ingegneria, innovazione e di farlo in maniera pratica: ci sono delle sessioni in sala operatoria dove si ha l’opportunità di imparare a utilizzare un endoscopio, a suturare per via laparoscopica o addirittura a mettere qualche punto con un robot chirurgico (il famoso robot Da Vinci). È stata un’esperienza meravigliosa che mi ha insegnato tantissimo!
Per quanto riguarda il lavoro di divulgazione la risposta è facile: la video intervista a Jean-Pierre Sauvage, premio Nobel per la chimica nel 2016!

Cosa deve affrontare un giovane che vuole seguire un percorso simile al tuo? Quali sono le verità difficili da accettare e quali invece si possono cambiare?

Sicuramente deve affrontare molto studio e molta fatica, ma questo è vero per qualsiasi percorso universitario. Se si vuole fare ricerca, purtroppo bisogna accettare che il mondo della ricerca è un mondo fondamentalmente ingiusto basato su un’organizzazione del lavoro precaria e, per buona parte, basata sulla fortuna.
Anche se all’estero la situazione è leggermente migliore che in Italia, la verità è che il numero di posizioni stabili nel mondo della ricerca è assolutamente irrisorio e la concorrenza spietata.
Quando mi sono laureato credevo che sarebbe bastato studiare e dare del mio meglio per diventare un giorno professore. La verità è che, dopo un mese di dottorato, avevo già imparato che non è così, vedendo ragazzi e ragazze molto più in gamba di me costretti a quarant’anni a dover ancora elemosinare sei mesi di contratto qua e là.

Quali persone ti hanno ispirato a fare ciò che fai?

Noi spesso parliamo di “meritocrazia”, ovvero questa magica idea secondo la quale si ha successo perché si è bravi, e se non si ha successo è perché non ci si è sforzati abbastanza. La verità è che la fortuna e l’ambiente circostante giocano un ruolo assolutamente fondamentale nell’indirizzare il nostro fato.
Se dovessi elencare tutte quelle persone e quelle circostanze che, in un modo o nell’altro, mi hanno portato dove sono ora, probabilmente dovrei scrivere un secondo libro.
Sicuramente sono stato ispirato dalla mia famiglia, che mi ha fatto crescere in un ambiente in cui studiare, leggere, appassionarsi, dare il 110%, non accontentarsi mai, è sempre stato dato per scontato. Nessuno è mai venuto da me a dirmi “studia!” con lo zoccolo alzato o la cintura in mano, come nessuno mi è mai venuto a dire che non dovevo giocare a calcio, suonare la chitarra elettrica in una band hard metal o perder tempo col giapponese.
Ho sempre trovato soddisfatta la mia curiosità e ho sempre avuto pieno supporto qualsiasi cosa volessi fare, qualsiasi pazza idea avessi in mente.
Anche a scuola ho avuto dei professori che, al di là delle conoscenze “tecniche”, mi hanno trasmesso un esempio di indefesso amore per il proprio ruolo e per i propri alunni, e non posso non dire che ne sono stato influenzato profondamente: dalla “terribile” professoressa di storia dell’arte alla severa prof. di italiano, passando per i dibattiti sul marxismo con il professore di filosofia o per gli elogi di Joyce della professoressa di inglese, che, per l’amore che ci metteva, sembrava trattasse ogni singolo autore come se fosse un figlio del quale essere orgogliosa. Senza dimenticare le bacchettate della prof. di matematica quando sbagliavo i segni nell’equazioni!
Mi hanno insegnato che lo scopo nella vita non è fare il minimo indispensabile per portarsi a casa la pagnotta, ma impegnarsi sempre al massimo delle proprie possibilità.
Non sarei mai finito a fare il dottorato a Strasburgo se non avessi avuto una fidanzata capace di contenere ed eliminare le mie paure, se non avessi avuto due professori – quello di Pisa e quello di Strasburgo durante l’Erasmus – che credevano così fortemente in me. Non sarei oggi a Berlino a fare questo lavoro, e non avrei mai svolto un dottorato così interdisciplinare e innovativo, se non avessi avuto l’incredibile botta di fortuna di far domanda per il dottorato nel gruppo giusto, al momento giusto e alla professoressa giusta.
E potrei continuare.

Ringraziamo Giuseppe Alonci per averci concesso l’intervista.

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